29 Nov 2021 LTPartners | News sugli aiuti di Stato “de minimis”, LIZZANI
I soggetti che ricevono degli aiuti di Stato e degli aiuti “de minimis” sono sottoposti a specifici obblighi dichiarativi. Si ritiene che tali obblighi riguardino anche gli enti della Pubblica Amministrazione, ma solo con riferimento alle eventuali attività di natura economica svolte in regime di concorrenza.
Aiuti di Stato “de minimis”
La normativa dell’UE pone il divieto agli Stati membri di concedere, in qualsiasi forma, aiuti alle imprese, in quanto questi potrebbero falsare la concorrenza.
L’art. 107 del Trattato UE stabilisce infatti che sono incompatibili con il mercato interno “gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.
Secondo il successivo art. 109, il Consiglio UE può però stabilire delle deroghe a tale principio.
In tal senso, con l’art. 2 del regolamento UE n. 2015/1588, il Consiglio ha stabilito che non sono soggetti a tali limiti gli aiuti “de minimis”, ovvero gli aiuti che non superano un importo prestabilito, concessi a un’impresa unica, in un determinato arco di tempo.
Tale limite è attualmente fissato in 200.000 euro, nell’arco di 3 anni.
Obblighi dichiarativi delle imprese
Le imprese, nonché gli enti della P.A., che ricevono degli aiuti, hanno precisi obblighi dichiarativi, volti a monitorare in generale tutti gli aiuti di Stato ed in particolare il rispetto dei limiti imposti per i “de minimis” (cfr. rigo RS401 del Mod. Redditi ENC 2021 e rigo IS201 del Mod. IRAP 2021).
Ma gli aiuti concessi ad un ente pubblico rientrano tra gli “aiuti di Stato” o “de minimis”?
Requisito soggettivo degli aiuti di Stato
A tal fine, occorre stabilire se l’attività beneficiaria del finanziamento sia, o meno, un’impresa che opera in regime di concorrenza.
Solo il finanziamento pubblico delle attività di impresa può costituire un “aiuto di Stato”, mentre le altre attività non economiche possono ricevere finanziamenti pubblici senza vincoli.
Sul punto, la Commissione Europea ha emanato una comunicazione interpretativa per chiarire la nozione di impresa e di attività economica nell’ambito della normativa sugli “aiuti di Stato” (cfr. Comunicazione 2016/C 262/01, in GUUE C 262 del 19/7/2016).
I fondamentali concetti espressi in tale contributo sono i seguenti:
- lo stato giuridico dell’ente, ai sensi del diritto nazionale, è ininfluente;
- anche gli enti senza scopo di lucro, ivi inclusi gli enti della P.A., possono qualificarsi come imprese se offrono beni e servizi in regime di concorrenza;
- qualsiasi attività consistente nell’offrire beni e servizi in un mercato costituisce attività economica.
- un ente che svolga sia attività economiche sia attività non economiche, è considerato come un’impresa solo per quanto riguarda le prime.
Con particolare riferimento alla P.A., è ulteriormente chiarito che “in generale, a meno che lo Stato membro interessato abbia deciso di introdurre meccanismi di mercato, le attività che fanno parte intrinsecamente delle prerogative dei pubblici poteri e che sono svolte dallo Stato non costituiscono attività economiche”.
Esempi di attività “pubbliche” ma in concorrenza con i privati
Il documento citato entra poi nel dettaglio di alcune attività che, pur rientrando tra le prerogative dello Stato, sono comunque svolte in concorrenza con il settore privato.
In particolare con riferimento al settore sanitario il documento chiarisce che “In alcuni Stati membri, gli ospedali pubblici fanno parte integrante dei servizi sanitari nazionali e sono quasi interamente basati sul principio di solidarietà. Tali ospedali sono direttamente finanziati dai contributi di sicurezza sociale e da altre risorse statali e prestano i propri servizi gratuitamente sulla base di una copertura universale … nel caso in cui esista una siffatta struttura, le pertinenti organizzazioni non agiscono come imprese”.
Con riferimento agli enti che si occupano di istruzione e ricerca, è stato altresì chiarito che “L’istruzione pubblica organizzata nell’ambito del sistema scolastico nazionale finanziato e controllato dallo Stato può essere considerata un’attività non economica … Il carattere non economico dell’istruzione pubblica, in linea di massima, non è pregiudicato dal fatto che talora gli alunni o i genitori siano tenuti a pagare tasse d’iscrizione o scolastiche per contribuire ai costi di gestione del sistema”.
Pertanto, secondo la Commissione, oltre alle attività didattiche pubbliche, non costituiscono attività economiche “le attività di ricerca e sviluppo svolte in maniera indipendente”, nonché “la diffusione dei risultati della ricerca”.
In buona sostanza, quindi, i servizi erogati gratuitamente dallo Stato che rientrano tra le sue prerogative, sono considerati comunque attività non economiche, anche qualora vi sia una parziale e non rilevante compartecipazione alla spesa da parte dei fruitori dei servizi stessi ed anche se tali attività siano svolte in concorrenza con i soggetti privati.
Ciò non esclude, in ogni caso, che all’interno dello stesso ente pubblico possano coesistere, insieme alle attività istituzionali non economiche, anche talune attività economiche. Ad esempio le attività di ricerca “privata” (finanziate dai privati).
Obblighi dichiarativi degli enti della Pubblica Amministrazione
Seguendo i principi sopra illustrati, si giunge pertanto alla conclusione che per gli enti della Pubblica Amministrazione, costituiscono “aiuti di Stato” e “de minimis”, solo quelli riferibili alle eventuali attività economiche svolte dall’ente.
Ma cosa accade se l’aiuto è indifferentemente riferibile sia alle attività istituzionali che a quelle economiche?
È il caso ad esempio del beneficio consistente nella deduzione dalla base imponibile IRAP dei redditi di lavoro dipendente e assimilati, corrisposti ai ricercatori e docenti impatriati, allorché ricorrano le condizioni previste dall’articolo 44 del D.L. 78/2010.
Sul punto, occorre preliminarmente evidenziare che tale deduzione spetta all’ente pubblico a prescindere dal metodo utilizzato ai fini della determinazione della base imponibile IRAP, sia esso il metodo “retributivo” ordinariamente previsto per la P.A. (ex art.10-bis, comma 1, D. Lgs. 446/1997), oppure quello opzionale del “valore della produzione netta” applicabile alle sole attività commerciali eventualmente svolte dall’ente pubblico (ex art. 10-bis, comma 2, D.Lgs. 446/1997).
Inoltre, solitamente, non è possibile stabilire se il beneficio sia diretto al finanziamento delle sole attività istituzionali dell’ente, oppure di quelle commerciali.
In tal caso, occorre evidentemente stabilire se ed in che misura tale beneficio sia riferibile alle attività economiche eventualmente svolte dall’ente pubblico in qualità di impresa.
Ebbene, si ritiene che l’unico riferimento legislativo applicabile al fine di stabilire la quota del beneficio imputabile all’attività commerciale, sia il principio espresso nell’ art.10-bis, comma 2, D. Lgs. 446/1997, secondo il quale i costi promiscui sono riferibili alla parte commerciale “per un importo corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi” di natura commerciale e “l’ammontare complessivo di tutte le entrate correnti” dell’ente.
Del resto, tale criterio risulta applicabile anche ai fini IRES, ai sensi dell’art. 144, comma 2, TUIR.
Pertanto, si ritiene che il beneficio in parola, costituirà un aiuto di Stato “de minimis” solo per la quota determinabile tramite l’applicazione del suddetto rapporto (ricavi commerciali / entrate totali dell’ente).
In tale misura esso andrà quindi indicato nell’apposita sezione (rigo IS201) della dichiarazione IRAP 2021.
Si ritiene che tale principio possa essere applicato anche con riferimento agli altri aiuti “promiscui”.
Ovviamente, sul punto, si auspica un chiarimento dell’Agenzia delle Entrate.
Il presente articolo è stato redatto con la collaborazione del Dott. Cristoforo Florio, Associato in LTPartners Studio Legale e Tributario